Per il Presidente e AD di TEMOT International, Fotios Katsardis, il settore automotive sta attraversando una fase di calma apparente, che prelude a una burrasca di dimensioni globali. Per limitarne i danni, le aziende dell’aftermarket devono aumentare il livello di consapevolezza e lungimiranza
Il mercato europeo dell’automotive sta attraversando una crisi che tocca soprattutto i produttori di automobili: Ford, che nel 2018 ha registrato perdite di 1 milione di euro al giorno, ha annunciato il taglio record di 12mila posti di lavoro e la chiusura di 6 impianti produttivi. Per altri, la situazione è andata anche peggio: Jaguar-Land Rover ha perso 3 milioni di euro al giorno e ha tagliato 4mila posti di lavoro. General Motors ha già lasciato l’Europa dopo avere registrato perdite per 17 anni consecutivi. Alla crisi dei costruttori si aggiunge una serie di ulteriori incognite che coinvolgono il settore – auto connesse, autonome, mobilità condivisa, diffusione di veicoli ibridi ed elettrici – che portano a ipotizzare nuovi scenari anche per l’aftermarket.
Per cercare di comprendere questi tempi incerti abbiamo deciso di interpellare i grandi Gruppi internazionali della distribuzione, pubblicando le loro osservazioni e riflessioni su Parts.
Ospite di questo numero è Fotios Katsardis, Presidente e AD di TEMOT International. Nella sua analisi lucida e mirata la lettura attenta dei fenomeni in atto, i punti deboli del sistema e le possibili strategie da seguire.
Il settore automotive europeo sta attraversando una stagione critica. Cosa sta succedendo e quali sono le prospettive per l’aftermarket?
“Digitalizzazione, automazione e nuovi modelli di business stanno cambiando drasticamente il nostro mondo, così come è già accaduto in molti altri ambiti. Forse più di altri, il nostro comparto è suscettibile ai cambiamenti, causati e favoriti dalla ridefinizione della mobilità, dalla guida autonoma, dall’elettrificazione e ibridizzazione dei veicoli e dalla questione suprema della connettività. Se a questi fattori aggiungiamo i cambiamenti della società, le richieste delle nuove generazioni ancora in un certo senso sconosciute, le guerre commerciali, il declino dell’Europa in rapporto allo sviluppo dei mercati emergenti, la nuova questione della cybersecurity e i pericolosi giochi tra superpotenze globali, otteniamo un mix esplosivo. Sperimenteremo un mercato sempre più competitivo e scompariranno letteralmente i meccanismi obsoleti per fare spazio al nuovo, come in un fisiologico cambiamento generazionale. Assisteremo a una concentrazione delle tendenze che già vediamo in atto, rinforzate da un’accelerazione della tecnologia, con il conseguente rischio per la sopravvivenza delle aziende tradizionali. L’aftermarket è rimasto apparentemente immune da questi meccanismi e lo resterà almeno per i prossimi 5 anni. Siamo ancora un settore frammentato regionalmente e globalmente, con margini sufficienti ad attirare operazioni di fusione e acquisizioni in tutto il mondo. Non credo che oggi sia possibile avere una visione dello scenario industriale da qui ai prossimi 10 anni, in base ai trend emergenti. Siamo solo agli inizi di un cambiamento e non possiamo pensare a soluzioni teorizzando su problematiche ancora astratte. Dobbiamo definire scenari plausibili in base ai cambiamenti in atto, valutando l’impatto che avranno sui costruttori di automobili, sui distributori, su nuovi potenziali player del mercato, sui legislatori, sui consumatori e su tutta la catena di valore automotive. Nelle acque tranquille sulle quali stiamo serenamente conducendo la nostra barca mi aspetto una violenta tempesta che affonderà alcuni di noi”.
Come potrà essere toccata la produzione aftermarket dall’inclusione dei veicoli elettrici? Questa e altre tecnologie potranno ridurre la quantità di pezzi di ricambio necessaria ai veicoli, provocando la chiusura di alcune aziende?
“Vedo in atto molte contraddizioni e ipocrisie: ogni giorno i costruttori dichiarano l’intenzione di salvare il mondo, dopo avere compiuto scorrettezze che hanno garantito loro miliardi di profitti. La strada giusta da percorrere è promuovere una legislazione corretta che restringa le emissioni, unitamente all’educazione delle persone verso soluzioni più sostenibili che porteranno nei prossimi anni a una maggiore diffusione di auto elettriche/ibride. Non mi chieda, però, se i veicoli elettrici siano migliori o peggiori dei motori a combustione… Quanto sarà rapido questo cambiamento? Non possiamo saperlo e potremo restare sorpresi. Cosa comporterà tutto questo per l’aftermarket? Se le attuali proiezioni sono corrette, nel panorama globale del parco circolante la diffusione dei veicoli elettrici entro il 2030 sarà ancora molto lenta, ma sarà in continua crescita nella vendita di nuove auto (possiamo ipotizzare al 50%). Ovviamente, la loro diffusione sarà prevalente nelle aree urbane e inferiore in quelle rurali. In che modo reagirà la legislazione? Verranno offerti degli incentivi per le rottamazioni? Saranno banditi i motori a combustione? Può essere… In questo modo, quei fattori che oggi sembrano essere una limitazione saranno futuri acceleratori, soprattutto se ci sarà una buona copertura dei punti di ricarica e una maggiore autonomia dei veicoli. Credo che “la grande abbuffata” del mercato automotive nella sua totalità lo porterà alla propria cannibalizzazione: dai costruttori (non sopravviverà nessuna innovazione, a parte qualche proposta proveniente da nuovi marchi, come ad esempio le Google car) ai fornitori (quale sarà il loro futuro se non ci saranno veicoli elettrici?). Cosa accadrà ai produttori di candele o a quelli di cuscinetti, se in Giappone l’ibrido non ha bisogno di questi ricambi prima dei 250mila km? Diversificare, disinvestire o morire: questo è quanto grida il mercato. Non ci sono dubbi, il 50% delle realtà che costituiscono oggi l’aftermarket non arriveranno al 2030 a ogni livello, per ogni giocatore nella catena di distribuzione, inclusi i Gruppi. Tuttavia, come sempre, ci saranno nuovi player a dare luce all’eufemistico nome (after) market”.
Qual è il ruolo dei Gruppi nell’evoluzione dei veicoli elettrici, ibridi e nell’accesso ai Big Data? Come stanno fronteggiando questi cambiamenti?
“Come ‘contenitori’ che favoriscono gli sviluppi del mercato – e non influencer – i Gruppi possono solo adottare i giusti atteggiamenti. La riflessione “Quanto l’elettrificazione influenzerà il mercato post vendita = abbiamo un sacco di tempo” sembra essere valida. Ragionando con un po’ di cinismo questa attitudine si è rivelata vincente in passato, quando abbiamo fronteggiato l’elettronica, il raffreddamento, il turbo, il diesel, le tecnologie di trasmissione: perché non dovrebbe funzionare per il futuro? Bene, per i dati e la connettività è necessario un approccio allargato e aperto, che porti a fronteggiare conseguenze esponenziali. I Gruppi, come tutti nel mondo della distribuzione, sono lontani da queste posizioni, deducono ma non sanno cosa sta per accadere, non hanno gli strumenti per affrontarlo, non hanno neanche la capacità di convincere il proprio network all’azione. Sperano che siano gli stessi membri a produrre soluzioni, assumendo il ruolo di spettatori che osservano l’evoluzione di questo ecosistema. Tuttavia, non dobbiamo svalutare il ruolo dei Gruppi. Al momento, la questione dei dati è il più significativo campo di battaglia per l’aftermarket, una questione complessa dai tempi del Block Exception. La connettività produce quello di cui abbiamo bisogno e potrà salvarci o ucciderci, ma darà anche la possibilità a chi li controlla di raccoglierli e manipolarli, praticando strategie restrittive. I costruttori hanno resistito alla tempesta perfetta, al migliore cavallo di Troia di sempre, bloccando ogni propagazione e dominando il mercato in maniera verticale. I Gruppi, gli stessi protagonisti dell’aftermarket, non hanno i mezzi, l’intelligenza e soprattutto la copertura legislativa per dare vita a un reale “Right 2 Connect 2 Repair”. Il mercato si sta muovendo rapidamente verso un disequilibrio e non vedo molte strade per ripristinarlo nel breve periodo. Come sappiamo, strategie a priori lasciano spazio alla casualità e si profilano come vittorie di Pirro”.
L’unico player digitale che può davvero minare la crescita della distribuzione europea è Amazon. Come fronteggiare questo gigante?
“Purtroppo non credo che possiamo competere con le dimensioni e le capacità di Amazon, forte di un modello troppo grande che non può essere replicato o rimosso. Amazon ha un’eccellente gestione dei beni, possiede una sofisticata tecnologia informatica e ha le risorse per costruire ed estendere un network di magazzini vicini ai maggiori centri urbani, usando la gestione di un inventario multilivello e una logistica massiva (in molte città degli Stati Uniti le consegne avvengono nell’arco di 2 ore). Si tratta della catena di distribuzione più efficiente per le aziende più importanti al mondo. Dare in outsourcing la gestione dei propri magazzini e in insourcing la propria capacità logistica sembra garantire grandi vantaggi: più dell’80% delle vendite è di parti terze, ma le consegne in giornata o anche prima sono possibili grazie alla propria logistica. Un’ulteriore realtà da analizzare è Amazon Robotics, un’attività di stoccaggio più complessa, veloce e con meno costi. Con circa 60mila robot che nel 2019 hanno garantito ad Amazon un buon servizio escludendo l’intervento manuale, minimizzando costi ed errori e incrementando la velocità. Rovesciamo la questione: nell’immediato futuro i grossisti hanno qualche possibilità senza ricorrere all’IT? No! Possono le aziende compiere una trasformazione informatica e automatizzata nel breve periodo? Ne dubito! È sicuramente più facile trasformare un’azienda IT in un grossista che non fare il contrario. L’IT richiede investimenti continui e non è un’operazione che si fa dall’oggi al domani. A preoccuparmi molto è la dimensione di Amazon e la sua enorme economia di scala, in grado di ridurre il costo totale per unità di spedizione al minimo. Sta crescendo sempre di più, mentre i costi sono sempre più bassi. Come può anche il più grande grossista competere con un apparato di queste dimensioni? Le possibilità di cooperare con Amazon ci sono, ma i risultati sono ambivalenti. È difficile operare con margini adeguati e pensare al futuro, se riesci a malapena ad avere degli utili dalle vendite. La questione si complica ancora di più se aggiungiamo Alibaba sul versante cinese. Ed è così che una giornata luminosa rischia di concludersi con una tempesta”.
Le grandi società di consulenza su scala globale sono pessimistiche sullo stato di salute del settore automobilistico europeo, almeno nel medio periodo. Come vede il prossimo futuro? L’Europa ha qualche possibilità di competere con i mercati emergenti?
“Con la mia limitata capacità profetica nella vastità dell’automotive e degli OEMs, posso evidenziare quelle che sono le criticità attuali. Oltre alle economie emergenti, con la loro domanda molto più alta rispetto a quella del Vecchio Continente, c’è un nuovo modello di business che ci sta portando dalla proprietà dell’auto alla mobilità condivisa, connessa, alla guida autonoma e a una moltitudine di nuove tecnologie che nel loro insieme non favoriscono lo sviluppo del settore in Europa. Nell’Unione gli OEMs e i loro fornitori sono in grado di fronteggiare questi sviluppi, ma gli asiatici e i nuovi marchi come Tesla sembrano essere molto più innovativi e portare più alti vantaggi comparativi per le nuove tecnologie. Le aziende europee dovranno mostrare i muscoli per riuscire a fronteggiare queste sfide, dal futuro delle auto alla sostenibilità. Quest’ultima è supportata dai nuovi limiti imposti dai regolamenti sui motori a combustione e dalla promozione di veicoli elettrici amici dell’ambiente. L’auto non è solo sostenibile, ma grazie alla connettività è anche intelligente. Non dobbiamo dimenticare che c’è un’altra battaglia, quella tra gli OEMs e i giganti californiani quali Google ed Apple. Alla fine, se il futuro è una mobilità condivisa, cosa venderanno gli OEMs al posto delle auto? E come potranno i costruttori di automobili tradizionali competere con le soluzioni a portata di click degli smartphone, se non ne sono proprietari? Non c’è da meravigliarsi che Uber, Lift, Grab e altri stiano ottenendo performance migliori degli OEMs. Qualcuno ha giustamente sottolineato che l’Europa è situata economicamente tra America e Asia. Negli Stati Uniti, Tesla, Google, Uber rappresentano la personificazione dell’auto del futuro: elettrificazione, veicoli autonomi e una nuova concezione di mobilità. In Asia ci sono due importanti fenomeni da tenere sotto osservazione: in Cina, colossi come Baidu e Alibaba stanno sviluppando auto senza guidatori, mentre Didi Chuxing (l’Uber cinese) uno schema di auto condivise. BYD e altre aziende sono leader nella mobilità elettrica e oltre alla Cina, anche Sud Corea e Giappone stanno lavorando duramente nello sviluppo di una tecnologia per migliorare le batterie. Quale sarà il futuro dell’Europa senza un singolo impianto produttivo di batterie? Dipenderemo dall’Asia? Potrà andare bene così? Assolutamente no! I fornitori OE hanno il know how, l’esperienza, divisioni di R&S e personale altamente qualificato già oggi. Tuttavia sono talmente affetti dalla perdita di posti di lavoro da non reagire. I mercati finanziari hanno duramente punito le stelle del passato che non hanno dimostrato di avere una solida strategia per fronteggiare gli sviluppi del settore. Sono stati a dormire, così come il resto degli europei e nonostante non sia ancora troppo tardi, il prezzo per adattarsi e ricominciare sarà molto costoso e porterà a molte perdite”.
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