Smart Mobility: i driver del cambiamento, i protagonisti, le tecnologie della nuova mobilità tra Millennials e Big Data, questo il titolo della Relazione di Gianluca Di Loreto, Partner della società di analisi e consulenza Bain & Company che ha inaugurato la 15a edizione del Parts Aftermarket Congress. Vediamo nel dettaglio di cosa si è parlato
A inaugurare come primo relatore la 15a edizione del Parts Aftermarket Congress è stato Gianluca Di Loreto, Partner della società di analisi e consulenza Bain & Company. Nel suo intervento, Di Loreto ha presentato un’analisi dei trend e dei protagonisti della nuova domanda di mobilità, le relative implicazioni per la filiera automobilistica e le sfide che la attendono: dall’influenza sul mercato della Generazione Y, rappresentata dai Millennials, alla rivoluzione tecnologica dell’auto connessa e dei Big Data.
“Anzitutto va sottolineato che la crisi del 2012, peggiore di quella del crollo della lira, ha avuto impatti profondi sul mercato dell’auto. Dopo la droga degli incentivi, il ritorno alla realtà dal 2007 si è tradotto in un calo di immatricolazioni quasi del 50%, fino al 2014, quando si è registrato un rimbalzo in quello che chiamiamo periodo di reset del sistema. Il punto è che il mercato è tornato a quota quasi 2 milioni come nel 2010, ma non è più quello di allora. Qualcosa si è rotto, la struttura è molto più fragile. Per esempio, la quota delle km zero sul totale non è irrilevante: l’anno scorso 300.000 vetture su 1,9 milioni di unità vendute, pari a circa il 17%. Quindi quasi un quinto del mercato è in realtà guidato dal prezzo, un fattore fondamentale per i Millennials di cui analizzeremo i comportamenti come clienti consumatori, sulla base di una Ricerca Bain & Company svolta in Italia, Germania e Regno Unito in collaborazione con Quattroruote su 2.700 rispondenti. Una riflessione: per la prima volta le km zero aumentano insieme al mercato; fino al 2014 era un fattore anticiclico, analogo all’usato, ma dopo la crisi del 2013-2014 è diventato prociclico, un elemento strutturale sintomo di una crescita in parte fittizia. Un altro fattore: molte concessionarie, che erano 3.000 nel 2007, hanno chiuso i battenti. La riduzione della capillarità da parte delle Case auto ha portato a un -50% delle ragioni sociali e a un -40% delle sedi di vendita (erano 4.600 e oggi sono 2.800). Il mercato è risalito ma si basa ora sulla metà dei distributori, con aspetti positivi per chi è rimasto. Il vero tema, però, è che fino a 10 anni fa ogni dealer vendeva il prodotto e rappresentava un brand, poi l’evoluzione ha portato al multibrand, mentre è nato e si è evoluto anche il noleggio coi relativi brand venduti, ovvero il servizio. Infine, oggi sono arrivati i broker e, oltre al prodotto e al servizio, si vende soprattutto anche il prezzo: si paga l’auto solo quando occorre. Il broker serve più noleggiatori: dimmi cosa ti serve e ti faccio l’offerta, dal brand A al noleggiatore B. E di fatto l’auto non è più un bene iconico per i 18enni. Tutto ciò ha avuto un impatto sulla filiera in termini di ricavi e margini. Il settore della produzione ha aumentato il fatturato e un poco anche i margini. Nella distribuzione invece tra vetture, componenti e officine qualcuno ha guadagnato e altri meno, ma i margini sono ancora sotto pressione nonostante il recupero dei ricavi. Solo il mondo del noleggio ha visto aumenti importanti sia dei fatturati sia dei margini, che si stanno spostando verso valle, dalla produzione verso la distribuzione, e l’offerta si adegua: l’utilizzo, a partire dal car sharing, comincia a prevalere sul possesso, e il servizio sul prodotto, con la necessità per gli operatori di differenziare la customer experience; il basso costo spesso prevale sulla personalizzazione, la richiesta di un particolare colore passa in secondo piano e la certezza prevale sul rischio, quindi una rata fissa di noleggio fa la differenza in una fase economica difficile. L’insieme dei trend di domanda e offerta ha generato una corsa al rialzo del ‘titolo noleggio’, che in un mercato auto calato del 17% tra il 2005 e il 2018 ha raddoppiato la sua quota di immatricolazioni annue per il lungo termine fino al 13,5%. A formare la domanda sottostante contribuisce l’impatto della Generazione Y, i Millennials – tra i 24 e i 35 anni – oggetto della nostra ricerca internazionale, che ha coinvolto anche gli over 50 fino ai 69 anni, cioè i cosiddetti Baby Boomers, la successiva Generazione X formata dai 36-49enni e, in parte, anche la giovanissima Generazione Z, che raggruppa gli under 23. Anzitutto i Millennials, che costituiscono il 16% della popolazione italiana rispetto al 18% in Germania e al 20% nel Regno Unito, hanno comportamenti e attitudini peculiari rispetto alle generazioni passate: mancanza di certezze, poca fiducia nel futuro e nel posto fisso, rinvio delle grandi decisioni dalla casa al matrimonio all’acquisto dell’auto; poi sono costantemente connessi ma dedicano alla singola informazione 12 secondi in media, con scarsa attenzione al contenuto; inoltre hanno bisogno di emergere e diversificarsi ma al contempo di fare parte di una visione del mondo, preferendo il cosiddetto ‘sense of purpose’, una motivazione, al possesso di un bene, per non restare indietro in un mondo veloce. D’altronde i Baby Boomers italiani vivevano i loro 20 anni con un PIL pro capite in crescita (+3,4% medio) e ricchezza in aumento; la Generazione X beneficiava di un +2%; oggi invece la tendenza in Italia è negativa e anche Germania e Regno Unito hanno visto la crescita dimezzarsi. È perciò la prima generazione ad approcciare la vita adulta in un contesto poco promettente, che la spinge a navigare-chattare almeno 6 ore al giorno, di cui 2,5 su smartphone, con valori poco inferiori negli altri due Paesi: una ‘caratteristica costruttiva’ generazionale che ha chiare implicazioni nel marketing, partendo dalla capacità di attirare l’attenzione. Così l’Italia nel corso degli anni ha visto crollare il numero delle patenti B di guida emesse dal 2001, fino a un -30% nel 2014 nonostante l’aumento della popolazione, con numeri poi in risalita a causa dell’effetto car sharing. E anche all’estero il fenomeno è analogo. Sulle nuove immatricolazioni poi l’impatto dei giovani italiani fino ai 29 anni è stato devastante, con il loro mercato dimezzato dal 15% del 2008 all’8% del 2017. I giovani rimandano l’acquisto dell’auto e si aspettano qualcosa di diverso: noi a 18 anni correvamo a fare la patente, loro corrono all’Apple Store, anche se non si può parlare di disamore per tutti. La nostra indagine dà molte indicazioni. Per i giovani l’acquisto di un’auto non è una priorità: ovunque figura solo al quinto posto tra i possibili investimenti dei propri risparmi, dopo opzioni quali il mantenerli sul conto corrente, le spese per la casa o quotidiane, operazioni finanziarie o vacanze da sogno. Gli under 35 così definiscono in maggioranza l’auto tra varie opzioni, quasi fosse un bene/male necessario dato che l’alternativa trasporto pubblico non è all’altezza: ‘un semplice mezzo di trasporto’, ‘essenziale’… senza entusiasmo né differenze tra grandi città o aree rurali e con le voci ‘sinonimo di libertà’ o ‘divertente da guidare’ in secondo piano. E questo nonostante l’Italia sia, dopo l’Islanda, il Paese con la più alta penetrazione di auto (oltre che di smartphone) al mondo, con 620 vetture ogni 1.000 abitanti quando altrove la media è 500. La ricerca evidenzia, ancora, come una parte significativa di chi non possiede un’auto non intenda dotarsene nei prossimi 3 anni. Oltre 1 intervistato italiano su 4, il 28%, risponde di no, preferendo altri mezzi o spaventandosi per finanziamenti e costi elevati. Le percentuali salgono al 47% nel Regno Unito e al 55% in Germania. Compreranno solo mobilità e servizi, tra cui forme di condivisione, e qui le differenze generazionali emergono: il 68% dei Baby Boomers rifiuta l’ipotesi e il 20% accetterebbe, ma solo con amici/parenti. La Generazione X va già meglio: 58% negativo contro 42% favorevole. Tra i Millennials la maggioranza, il 55%, apprezza la condivisione, e la quota sale al 66% nella Generazione Z: sono generazioni che già vivono queste situazioni, tanto che i picchi di car sharing si registrano il sabato sera e la domenica mattina alle 5 a Milano, quando il driver si immola in favore degli amici. E proprio solo con amici e parenti, di nuovo, oppure se comunque è più conveniente, oltre il 50% dei più giovani è disposto a utilizzare un’auto condivisa. Sembra poi esserci, per ogni età e in ogni Paese, una particolare dedizione all’acquisto dell’elettrico, ma solo se a pari condizioni economiche: inquinare meno è molto popolare ma senza incentivi calano le risposte positive, soprattutto tra i giovani per mancanza di risorse. I Millennials europei, pur conoscendo gli ADAS, sono generalmente timorosi nei confronti della guida autonoma e danno risposte poco convinte, da ‘6 politico’ sia sulle preoccupazioni sia sulle aspettative, chiedendogli per esempio se pagherebbero di più per un’auto che si guida da sé. E se differenziamo tra positivi e negativi gli aggettivi abbinati all’auto, i Millennials che vivono fuori città tendono ad avere sentimenti più positivi: la metropoli è un driver di ‘rigetto’ causa traffico, costi e parcheggi, quindi l’auto rimane uno status symbol per una cerchia più ristretta. Una risposta importante per chi fa distribuzione riguarda la vendita online di auto, che potrebbe rivelarsi un trend ora che Porsche sta partendo negli USA: compreresti un’auto online oggi, senza interazione con il concessionario? È risultato che nelle aree rurali il ruolo di un venditore esperto ha ancora un valore importante: i consigli sono considerati meno sostituibili dai nuovi canali rispetto a quanto accade nelle metropoli. E dalla domanda passiamo ora all’offerta. L’innovazione tecnologica vede al centro la rivoluzione dell’auto connessa. Da tempo si parla di telematica perché la popolazione globale con accesso a Internet cresce velocemente: 3,7 miliardi di persone nel 2017. La mole dei dati scambiati ogni giorno ha raggiunto livelli impensabili, oltre 2,5 quintilioni di byte, il 90% generato negli ultimi 2 anni. Il mercato dei Big Data, che vale 42 miliardi di dollari, sembra non avere sosta grazie a una crescita attesa del 13% l’anno, fino a un +83% in 5 anni. Esistono diversi tipi di utilizzo dei dati. Descrittivo: cos’è successo? Diagnostico: perché è successo? Predittivo: cosa può succedere? Prescrittivo: cosa andrebbe fatto? Qualche esempio sui trasporti: EasyJet con un utilizzo descrittivo ha migliorato la customer experience all’aeroporto di Gatwick integrando in una propria app fonti diverse di dati in tempo reale per semplificare le prenotazioni, la partenza e l’arrivo, con info su come raggiungere il gate. Lockheed Martin con un utilizzo predittivo di infiniti dati di dominio pubblico ha creato un servizio che aiuta governi e organizzazioni di difesa a prevenire eventi destabilizzanti. Con un utilizzo prescrittivo John Deere analizza i dati meteo e dei sensori in tempo reale per migliorare i rendimenti delle colture e delle flotte di mezzi agricoli, prevedendo la domanda. Oggi l’auto è ricca di telematica: l’ha portata di fatto nella vita di tutti i giorni, ‘democratizzandola’. Ogni modello recente è più o meno connesso per un mercato ormai di 63 miliardi di dollari, con una crescita attesa a tripla cifra nei prossimi 8 anni del +260%, fino a 225 miliardi di dollari, e stime di un +132% nei brevetti sull’auto connessa pubblicati dal 2016 e di 125 milioni di auto connesse consegnate fra il 2018 e il 2022, con inoltre lo sviluppo della connettività 5G che favorirà il trend di mercato. Esistono 3 tipi di dati. Anzitutto i dati del veicolo: livello olio, stato motore, consumi previsti, avviso manutenzione, geolocalizzazione, prenotazione officina eccetera. Poi i dati ambientali: temperatura, nebbia, ghiaccio, asfalto bagnato, viabilità, segnalazione incidenti e percorsi alternativi, officine/carrozzerie, esercizi commerciali limitrofi e offerte personalizzate… E infine i dati del driver, un tema importante: anagrafici, stile e dati di guida, preferenze, playlist musicali, abitudini, agenda, Sms, e-mail, destinazioni frequenti, previsione di situazioni di pericolo e così via. I dati generabili hanno la fantasia come unico limite. L’auto volendo registra tutto per fornire servizi a valore aggiunto a tanti soggetti: il driver, poi il fleet manager, le aziende di servizi e anche i malintenzionati. L’auto diventa dunque sempre più interconnessa, con sigle che individuano le varie modalità di dialogo con diversi soggetti all’esterno. Per esempio, nel 2017 un car maker ha installato una tecnologia con cui la macchina gestisce fino a 1.000 messaggi al secondo da veicoli fino a 300 metri di distanza: se il mezzo davanti frena, frena anche il mio prima che me ne accorga. Un OEM premium ha presentato un sistema che consente di intercettare negli USA l’onda verde semaforica calcolando velocità e distanza tramite connessione dati tra auto e infrastruttura. Può però purtroppo ricevere i dati del veicolo anche chi non ha buone intenzioni, come dimostrato nel 2016 per finalità universitarie da un gruppo di ricercatori, in grado di ‘ingannare’ il sistema di navigazione inducendo i computer dell’auto a percepire un oggetto inesistente, o a non percepirne uno esistente. Questo è un possibile fattore di diffidenza verso la connettività. Abbiamo perciò realizzato un’indagine con Aniasa, del settore noleggio di Confindustria, su 1.181 rispondenti per capire cosa sanno e cosa ne pensano i guidatori dell’auto connessa. Dopo avere chiarito che la connessione bluetooth tra auto e smartphone non è considerata ‘auto connessa’, come erroneamente pensavano in parecchi, quasi un terzo dei rispondenti, il 29%, dichiara di averne già una a disposizione, un altro 59% ha intenzione di dotarsene a breve e il rimanente 12% di ‘irriducibili’ non ne vuole sapere, nemmeno in futuro. Il guidatore è principalmente interessato a soluzioni che rendano l’auto più sicura: manutenzione predittiva, localizzazione in caso di emergenza o furto, parental control… Guarda anche a elementi più funzionali come la navigazione evoluta con segnalazione tipo Waze del cambio di percorso in caso d’incidente, il Wi-Fi a bordo eccetera. Il 59% dei rispondenti pagherebbe un sovrapprezzo per il valore aggiunto di tali funzionalità ma preferibilmente una tantum, e solo 1 su 4 tra questi anche più di 1.000 euro. Il 22% pagherebbe un abbonamento e tra questi meno di 1 su 5 più di 50 euro/mese. Il 19% non è interessato. Riguardo alla condivisione dei dati dell’auto gli italiani si ritengono tranquilli finché non si tocca la sfera personale: la famiglia non deve sapere dove vado, e il tema impatta su pagamento e disponibilità. Il 72% dei rispondenti ritiene che i propri dati debbano essere accessibili solo per un determinato lasso di tempo, 1-2 ore, o una singola tratta, e poi cancellati. Abbiamo perciò individuato e segmentato almeno 5 tipi diversi di utenti: un 15% sono i telematici, non pochi, favorevoli; un 10% sono i connessi con riserva, che mantengono qualche dubbio; un 22% sono gli indecisi, che cedono i dati solo se convinti del valore e dei vantaggi della condivisione; un 32% sono gli indifferenti, che condividono dati nella cerchia di amici e social ma non per l’auto, non sapendo chi li utilizzerà; e infine un 17 % sono gli scettici, che bisogna pregare. Età e sesso in questi casi non contano, va sottolineato: i telematici non sono i più giovani e la predisposizione all’auto connessa non è legata a variabili demografiche. È un tema di comunicazione molto forte e una buona notizia, perché allarga la platea dei clienti disposti a pagare per i servizi oltre ai Millennials. E per concludere, focalizziamoci sulle implicazioni e le sfide che attendono la filiera automobilistica. Anzitutto il cliente ha a disposizione un’offerta sempre più ampia, per cui il connubio tra prodotto e servizio sta creando tante opportunità – e anche tanti problemi per chi lavora alla vecchia maniera – e sarà cruciale per acquisirlo e fidelizzarlo. Con nuovi player in entrata la differenziazione passa sempre più dai servizi, sui quali si deve investire per creare vantaggi competitivi, e meno dal prodotto. Soprattutto, è più difficile attirare l’attenzione: bisogna investire anche nel comunicare il ‘perché’ in 12 secondi, tenendo conto che i Millennials si identificano con l’azienda del prodotto che acquistano e non solo con quest’ultimo, comprano iPhone perché comprano Apple come marchio, e qui torna il tema del ‘sense of purpose’. Non bisogna commettere errori: il rischio è il crollo delle vendite come accaduto a un brand di scarpe scoperto a produrre in Asia a basso costo. Sembra tutto più facile per i costruttori, meno per chi lavora nella distribuzione, nella componentistica e nei servizi, ma non è impossibile fare passare questi messaggi. Per i Millennials il cosa e il quanto saranno dati sempre più per scontati. Inoltre, l’auto connessa attira nuovi player nella catena del valore: pochi sanno costruire un’auto, molti fornire servizi connessi. Per esperienza so che la mappa competitiva di un settore vede cambiare ogni 2 anni il 30-40% dei player e il fenomeno non va considerato né positivo né negativo. Di sicuro, nessuno potrà pensare di tenere il cliente tutto per sé, come un tempo quando il costruttore gli vendeva l’auto e se lo riprendeva senza sforzi dopo 4-7-10 anni. Oggi si vendono servizi di mobilità: i clienti sono nostri solo per un certo bisogno o momento, dai 2-3 giorni del nolo a breve ai pochi minuti del car sharing, e sono abituati ad avere una platea di fornitori grazie anche ad app abbinate ad altre app che selezionano le offerte più economiche del momento. La customer experience del futuro quindi non sarà più esclusiva, ma se saremo stati abbastanza bravi il cliente, magari dopo qualche mese e dopo avere apprezzato quei cruciali 12 secondi, tornerà ancora da noi”.
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