Dopo la crisi nella fase iniziale dell’emergenza Covid-19 l’aftermarket, grazie alla sua resilienza, può recuperare più velocemente rispetto all’industria automobilistica
Come effetto della pandemia generata dal Coronavirus, l’industria europea dell’automotive subirà probabilmente una riduzione molto importante della domanda 2020 provocata da più fattori: la chiusura dei siti produttivi di primo impianto e le disruptions della Supply Chain globale relativamente alla fornitura, l’allungamento dei cicli di produzione, lo slittamento e la riduzione degli investimenti, la tensione finanziaria per lo sviluppo di nuove vetture e di innovazioni tecnologiche, le prescrizioni restrittive legate alla mobilità delle persone, i timori e le paure dei consumatori e infine le riduzione di inventory lungo la filiera relativamente alla domanda. Per quanto riguarda nello specifico l’aftermarket, dopo un primo breve periodo in cui la domanda è caduta in maniera molto importante, esperti e studiosi – sulla base di quanto a oggi noto, senza considerare nuove importanti ricadute e con una dose di ottimismo e positività – ipotizzano che la domanda sarà meno pesantemente impattata nel periodo di normalizzazione dopo il lockdown e la progressiva ripartenza delle attività produttive e commerciali.
Nel periodo di normalizzazione, il parco circolante sarà globalmente più o meno uguale, con una percentuale in crescita del vec-chio e di interesse per l’aftermarket, premessa per un incremento della domanda. La logica e l’opinione di esperti autorevoli ci dicono anche che, in termini di percorrenza chilometrica, la preferenza dell’utilizzo del tra-sporto privato verso il trasporto pubblico e condiviso tenderà a crescere (a causa della paura di infezione e ai presumibili maggiori tempi di trasporto verso il luogo di arrivo, dovuti alla diminuzione di portata dei mezzi pubblici per rispettare le prescrizioni di spazio fra le persone). Ma l’effetto netto sarà presumibilmente neutro a causa della più bassa mobilità (paura prolungata della contaminazione, riduzione delle attività legate alla crisi, disponibilità economiche medie più basse, disoccupazione crescente…).
È intuibile, viste le nuove condizioni economiche dei consumatori e la generale instabilità, che la propensione alla spesa cambierà: le riparazioni non critiche e le attività di manutenzione saranno posposte, al contrario di quelle legate a incidenti e a guasti degli organi importanti dell’automobile. La spesa non urgente e indispensabile per eventuali aggiornamenti, operazioni di regolazione, accessori sarà probabilmente evitata. I fornitori di ricambi con riparazione critica (per esempio trasmissione, motore) avranno quindi un impatto negativo minore rispetto ad altre tipologie di fornitura. Effettivamente, esaminando il deployment storico delle vendite delle automobili nuove verso il parco globale appare che, nel corso del tempo, il parco veicoli è stato relativamente resistente agli shock economici a causa dell’effetto scala.
E mentre la vendita delle automobili nuove scenderà, l’età media del parco circolante si incrementerà e ciò si trasformerà nel breve periodo in un impatto positivo sull’aftermarket (tra qualche anno, viceversa, l’impatto potrà divenire negativo per la riduzione dei volumi in entrata nell’area di interesse per età vettura nell’aftermarket). Le crisi economiche viste negli ultimi anni del primo decennio del secolo 21° e le successive hanno impattato molto di più sui volumi delle automobili più giovani (età 0-3 anni) che su quelli delle più vecchie (più di 6 anni), sia a causa dell’effetto dei volumi più bassi delle automobili nuove, sia del periodo di mantenimento delle automobili più lungo. Anche il mercato dell’aftermarket è sicuramente esposto a effetti negativi: la struttura di fornitura ha rischi connessi in particolare con i possibili problemi delle strutture non di primo livello (tier 2 e tier 3), più fragili e meno forti finanziariamente.
Considerate anche le possibili restrizioni sui trasporti l’approvvigionamento di ricambi importanti, necessari per sviluppare il range di prodotti, potrebbe divenire più difficile, specie se la Supply Chain non è stata bene integrata o costruita con connessioni e relazioni adeguate. Nell’aftermarket la capacità di avere forniture interne, o comunque vicine e connesse, sarà un vantaggio chiave per i competitor, considerato che gli stabilimenti di produzione – come già si sta sperimentando per chi opera sul mercato – saranno disponibili per la produzione di aftermarket avendo in corso per un periodo più lungo una discesa della domanda per il primo impianto. Sul breve termine va poi tenuto in considera-zione che, come abbiamo visto, i distributori hanno generato un incremento artificiale della domanda per costruire stock addizionali di riserva per mitigare i rischi legati a una Supply Chain interrotta, avendo poi ricevuto la fornitura di materiali dopo che la domanda di riparazione è scesa ben sotto il 50% nei Paesi europei toccati dal lockdown. Ma in generale, opinione condivisa da più esperti del settore, va detto che l’aftermarket affronterà gli effetti di fornitura e domanda in misura minore rispetto al primo impianto.
Seguendo quindi questa impostazione, il mercato dell’aftermarket dovrebbe essere caratterizzato da più elementi: •capacità di adattarsi alle nuove condizioni di mercato: superato il breve periodo di grande declino della domanda legato al lockdown, il parco circolante di interesse dell’aftermarket dovrebbe avere, sulla base di quanto è avve-nuto storicamente, un andamento differenziato e più stabile rispetto alla vendita delle nuove macchine; • digitalizzazione: diventerà sempre più im-portante, supportando processi e fornendo gli strumenti per aumentare la consistenza e l’affidabilità della Supply Chain e permettere lo sviluppo di business, favorendo e supportando l’accesso al cliente; • concentrazione e riduzione degli operatori di mercato: a causa delle difficoltà finanziare generate dalla pandemia, appare logico pensare che le operazioni di Merger and Acquisition e progressivo raggruppamento nell’aftermarket in Europa, che abbiamo già visto negli anni precedenti, saranno accelerate, avendo come protagonisti i competitor più attenti e preparati finanziariamente.
Per arrivare al punto che più ci interessa in questa sede:• importante ridisegno e nuova impostazione della Supply Chain con maggiore attenzione alle opportunità ed esigenze locali. Ci sarà una maggiore attenzione ai sottosistemi di flusso e gestione vicini al mercato di interesse e quindi locali rispetto al recente passato. Ci si concentrerà sullo sviluppo dell’implementazione di network e Supply Chain agili e reattive locali, con tempi più brevi e frequenze di reazione e collaborazione tra partner, dove la capacità di mettersi insieme allineando gli obiettivi con trasparenza sarà fondamentale anche per avere maggiore accesso ai plant delle divisioni dei componentisti produttori di primo impianto, che prevedibilmente saranno impostate e preparate per fare un replenishment agile degli ordini aftermarket.Usando un termine che stiamo sentendo sempre di più, aumenterà l’interesse per lo sviluppo di soluzioni locali anche se integrabili a livello locale: la globalizzazione dovrà diventare glocalizzazione (Figura 1).
Che cos’è la glocalizzazione?
Il termine glocalizzazione è stato formulato negli anni 1980 in Giappone, poi ulteriormente elaborato da sociologi inglesi e tedeschi, con il focus di studiare e comprendere meglio le relazioni delle realtà locali con gli ambien-ti internazionali, considerando lo sviluppo della globalizzazione. La parola è composta da globalizzazione e localizzazione, ovvero quel comportamento economico teso a inserire le caratteristiche e contenuti della globalizzazione all’interno della specifica realtà di un certo Paese o area o luogo al fine di garantire il rispetto del territorio, i suoi usi e costumi, valorizzando le singolarità tradizionali e spingendo le imprese, di dimensioni diverse, allo sviluppo dei mercati.
Questo nuovo termine fu coniato per calare il fenomeno dell’economia globale nella realtà locale di un certo posto e analizzare le naturali conseguenze. Un esempio spesso citato è quello rappresentato dal Gruppo svedese Ikea, che è entrato in Italia con i suoi prodotti ma contestualmente ne ha studiato l’impatto relativamente alle vendite e da questo ha creato una linea più autoctona di prodotti, adatta alle esigenze e alle abitudini degli italiani.
Un’organizzazione può essere compresa meglio analizzando la natura duale della glocalizzazione. Globale ma anche e soprattutto locale. In molte situazioni, inoltre, le forze locali si sono impegnate con costanza nel tentativo di attenuare l’impatto dei processi globali. Per andare a creare una relazione positiva con il globale, il locale deve lavorare per costruire una relazione solidale tra reti locali e reti globali; reti locali capaci di interfacciare progetti top down con progetti bottom up e di area; la diffusione dei servizi rari nelle reti regionali, in risposta ai processi di concentrazione nelle dinamiche globali; relazioni commerciali e finanziarie ecosolidali che sviluppino reti locali nel mercato. La glocalizzazione ritiene che il fondamento della società in ogni epoca sia stato e sia tuttora la comunità locale, l’interazione degli individui organizzati in gruppi via via più allargati presenti su un territorio.
L’organizzazione di questi gruppi costituisce un insieme di sistemi che diventano sottosistemi se relazionati a organizzazioni più complesse. Ad esempio, la famiglia è un sottosistema del sistema quartiere, ma il quartiere è un sotto-sistema del sistema città, che è un sottoinsieme del sistema provincia o area o regione e così via. La glocalizzazione inizia la propria analisi dai sistemi semplici per arrivare ai più complessi, mentre la globalizzazione si con-centra tendenzialmente sui sistemi complessi, non soffermandosi o addirittura ignorando spesso le implicazioni dei sottosistemi. La glocalizzazione pone al centro l’individuo, la persona umana, il patrimonio locale materiale e immateriale della persona e del gruppo di appartenenza. Non ignora i processi di interrelazione che sono connessi all’incontro-scontro dei vari gruppi all’interno della logica sistema-sottosistema, dando adeguato spazio alla comprensione del funzionamento delle regole e della cultura del sottosistema.
La glocalizzazione dà importanza alla comunicazione tra gli individui e i gruppi definiti nello spazio e nel tempo e si sofferma a studiare come le nuove tecnologie abbiano favorito un’accelerazione nei processi di trasformazione. La glocalizzazione, pur ponendo idealmente il microgruppo alla base della sua analisi, è cosciente che esso cresce, interagisce con gli altri gruppi sempre più complessi, fino ad arrivare alle complesse realtà globalizzanti di oggi. La glocalizzazione non ignora la presenza di interessi di società e forze globalizzanti, che cerca di comprendere nella genesi e nelle loro implicazioni, ma fa costantemente riferimento alla teoria dei sistemi. Occorre fare adeguata sintesi tra il pensiero globale, che tiene conto delle dinamiche globali di interrelazione tra i popoli, le loro culture e i loro mercati e la specificità dei comportamenti locali, che tiene conto delle peculiarità e delle particolarità storiche dell’ambito in cui si vuole operare.
La glocalizzazione nella Supply Chain
Quando pensiamo alla Supply Chain il termine glocalizzazione va pensato come la necessità di costituire sottosistemi di Supply Chain indipendenti, capaci di reagire più velocemente e in maniera più adeguata alle necessità speci-fiche del mercato locale, composte da partner locali collaborativi allineati e aperti, massimizzando anche in caso di situazioni molto difficili il servizio al cliente e l’efficienza attraverso la capacità di riadattarsi velocemente alle mutate situazioni di ambiente. Questi sottosistemi locali sono aperti all’esterno e collegati e collegabili ad altri sottosistemi locali, capaci di cogliere qualora necessario le opportunità di una Supply Chain estesa globale pensata come composta da sottosistemi fra loro comunicanti. Vediamo quindi di capire come potrebbe cambiare la Supply Chain pensando a come era prima e come probabilmente diventerà dopo il Covid-19. Prima della pandemia, si sono svilup-pate sempre più Supply Chain concepite intorno a network globali; dopo la pandemia al fine di rispondere alle nuove situazioni e in funzione di quanto sperimentato, ci si riorienterà probabilmente alla creazione di Supply Chain basate su network locali. Prima avevamo una tendenza globale estesa alle strategie di riduzione dello stock con applicazione di flussi tesi e di costituire sottosistemi di Supply Chain indipendenti, capaci di reagire più velocemente e in maniera più adeguata alle necessità speci-fiche del mercato locale, composte da partner locali collaborativi allineati e aperti, massimiz-zando anche in caso di situazioni molto difficili il servizio al cliente e l’efficienza attraverso la capacità di riadattarsi velocemente alle mutate situazioni di ambiente. Questi sottosistemi locali sono aperti all’esterno e collegati e collegabili ad altri sottosistemi locali, capaci di cogliere qualora necessario le opportunità di una Supply Chain estesa globale pensata come composta da sottosistemi fra loro comunicanti. Vediamo quindi di capire come potrebbe cambiare la Supply Chain pensando a come era prima e come probabilmente diventerà dopo il Covid-19.
Prima della pandemia, si sono sviluppate sempre più Supply Chain concepite intorno a network globali; dopo la pandemia al fine di rispondere alle nuove situazioni e in funzione di quanto sperimentato, ci si riorienterà proba bilmente alla creazione di Supply Chain basate su network locali. Prima avevamo una tendenza globale estesa alle strategie di riduzione dello stock con applicazione di flussi tesi e riallocazione delle merci difficile e complessa tra attori diversi a una riallocazione veloce e flessibile in funzione delle necessità lungo le filiere locali più corte, integrate culturalmente e maggiormente digitalizzate, basate su control tower digitali in controllo e supporto delle deci-sioni dei network locali, ma capaci di integrarsi in una rete più ampia a cogliere tutte le opportunità di un mondo che rimane globale. La gestione del rischio sarà sempre più orientata alla sostenibilità del rischio stesso (aspettare ed essere capaci di affrontare l’inaspettato).
Conseguenze per il nostro mercato
Da questa analisi su quelli che potrebbero essere gli sviluppi per il futuro, si possono trarre alcune indicazioni che sono da integrare a quelle indicate in un precedente articolo, ma che qui spostano l’accento sulla capacità di fare squadra e network a livello locale, per cogliere le opportunità che comunque il mercato dell’aftermarket con la sua resilienza potrà offrire. Importante sarà stringere alleanze fra operatori di distribuzione locali per aumentare il potere contrattuale e le capacità finanziarie, potendo meglio competere nel nuovo scenario dove chi ha potere finanziario potrà più facilmente comprare gli attori più deboli. Bisognerà cercare soprattutto fornitori con un network produttivo locale, aperti a integrazioni con i clienti e fra di loro, con un ridisegno dei processi atto a ridurre costi tramite sinergie di sharing dei costi e sinergie sui range da offrire ai clienti (aziende di produzione monoprodot to, insieme, potrebbero offrire un portafoglio prodotti ampio e competitivo realizzando flussi veloci e competitivi verso i clienti distributori) e disponibili a collaborare per governare i flussi in maniera semplice e reattiva e riadattabili continuamente alle necessità che cambiano, con capacità di avere piattaforme e buffer locali dinamicamente riconfigurabili (Figura 3). Bisognerà cercare di mettere in campo iniziative di digitalizzazione con la creazione di piattaforme e-business che permettano di rendere visibile il prodotto ai diversi attori della filiera, supportate da un network logistico adeguato in termini di vicinanza e presidio del territorio. Bisognerà soprattutto costruire logiche operative, distributive veloci, che permettano una flessibilizzazione delle attività lungo la filiera mettendo insieme risorse per essere efficienti e non ridondanti e riallocandole continuamente in funzione delle evoluzioni del mercato.
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