Un affresco di Giandomenico Tiepolo raffigura la realtà che l’Occidente sta vivendo, in una sospensione drammatica tra il vecchio e il nuovo. Abbiamo contribuito noi europei a creare i presupposti per la nostra stessa crisi, con una classe dirigente inadeguata, che ha prodotto decisioni contrarie al buon senso e ai nostri interessi. Miliardi di euro sono stati buttati in varie direzioni, senza un fine realmente utile e ora la guerra sta portando a galla tutti gli errori di vent’anni vissuti assurdamente. L’Occidente deve rivedere integralmente le proprie strategie e le modalità con cui si interfaccia con i suoi problemi e con il resto del mondo
di Andrea Taschini
Raramente i figli riescono ad eguagliare l’eccellenza di padri celebri. Sebbene Tiepolo figlio non riuscì a mai a superare l’impareggiabile genialità di Giambattista nei suoi virtuosismi settecenteschi, c’è tuttavia un dipinto di Giandomenico a cui io sono molto legato per la sua leggerezza espressiva e per i significati che ad esso sono correlati. Il mondo nuovo, è datato 1791, anno che fu di profonda transizione tra ciò che era “il prima” e ciò che fu “il dopo” nel calendario della storia. La Rivoluzione francese aveva già preso il sopravvento, cambiando le sorti del mondo, di lì a poco Napoleone si sarebbe impadronito del potere e con un gesto inatteso avrebbe consegnato la Serenissima nelle mani dell’Austria, gettando nella più profonda delusione tutti quegli italiani che avevano visto nel Capitano corso il redentore dell’Italia e delle sue aspirazioni di nazione. Venezia era quindi al capitolo finale del suo glorioso passato millenario, immersa in una sorta di malinconica fine della storia, che i suoi abitanti percepivano lucidamente come “l’inevitabile e l’imminente”. Il mondo nuovo dà con pienezza l’idea di questo sentire, attraverso una sorta di manifesta indifferenza agli eventi e di un progressivo disfacimento. È in effetti un dipinto molto inusuale: rappresenta un gruppo di persone ritratte di spalle, intente a guardare verso un capanno dove si mostra un cosmorama, una sorta di cinema ante litteram, che doveva essere al centro della curiosità popolare della Venezia del tempo.
Gli unici personaggi riconoscibili sono un ragazzo in camicia bianca, l’autore del dipinto e suo padre: l’immagine fu affrescata per essere conservata come intima testimonianza all’interno della villa del Tiepolo stesso. Questo affresco è un’affascinate metafora dell’attraversamento che l’Europa stava compiendo a fine Settecento verso un destino completamente divergente dai suoi secoli passati, in un percorso accidentato che l’avrebbe portata a una lunga corsa verso quella modernità che stiamo vivendo tutt’oggi, ma anche attraverso gli sconvolgimenti ottocenteschi e le tragedie del secolo breve. Le persone di tergo guardano verso qualcosa di sconosciuto, di non visibile, qualcosa di nuovo, volgendo le proprie spalle ad un passato che non può più tornare, dal quale mantengono un distacco e un’indifferenza che genera quasi sconcerto: regna in esso un clima sospeso di allegria surreale tra colori, dame e saltimbanchi. La storia dell’umanità è sempre un attraversamento con delle svolte improvvise, sebbene non siano inattese, per chi sa guardare senza quei condizionamenti intellettuali di chi ha interesse a produrre “storia” impedendo la consapevolezza di chi la storia invece la subisce. Gli avvenimenti odierni appaiono perfettamente inquadrati in questo sistema di ruoli che la modernità ha parecchio affinato, con la complicità di uno story telling particolarmente demagogico e mendace.
Il nostro nuovo mondo
Gli ingredienti della svolta che il mondo sta percorrendo erano tutti stati messi nella ricetta della storia da tempo, alcuni messi per negligenza, altri (la maggior parte), per ingordigia. Non ci siamo accorti che la società globale stava ribaltando le logiche con cui era stata concepita, d’altra parte bastava aver cura di leggere i tassi di crescita demografica ed economica occidentali e compararli con quelli dei paesi emergenti, per comprendere che ad un certo punto i nodi sarebbero tutti venuti al pettine. È più che evidente che abbiamo messo il destino della nostra civiltà in mano ad élite non solo non all’altezza della situazione, ma che hanno operato col fine di perpetuare il loro potere assegnando posizioni strategiche ad individui non meritevoli e non capaci, ma soltanto dotati di un servilismo manovrabile e di capacità intellettuali inadeguate. Se me lo si concede, è il destino di tutto ciò che si appresta a tramontare ma che nei nostri tempi ha assunto contorni da commedia tragica: non rendersi conto che sviluppo economico non significa necessariamente evoluzione democratica è un’ingenuità dovuta alla mancanza di cultura e spessore di élite che hanno più familiarità con i conti bancari che con le attività di governo.
Un mondo diviso
Il mondo è ora irrimediabilmente diviso in blocchi: l’appeal dell’antioccidentalismo ha contagiato i tanti paesi che attendevano una rivincita socioeconomica. Il grande errore di avere spinto al di là delle barricate la Russia, che è il più grande serbatoio di materie prime mondiali, è e ci sarà fatale. Le nostre élite hanno giocato d’azzardo con la storia, hanno sbagliato calcoli e questa crisi porterà inevitabilmente ad un ridisegno strutturale e politico dell’Europa. In ogni grande paese, oramai attraversato da una crisi economica pronta ad esplodere in malcontento sociale, si respira aria da fine regime. Quando i dirigenti vengono disprezzati e contestati a ogni loro uscita pubblica, perché anche se eletti non rappresentano più la nazione, allora significa che il tempo è vicino. La globalizzazione si è inceppata tra lo sconcerto degli imprenditori e dei loro manager, le catene logistiche si sono improvvisamente interrotte e parecchie aziende si sono trovate impantanate in Russia e costrette a regalare al governo di Mosca i loro impianti produttivi. Credo che nel prossimo quinquennio si potrebbe riproporre lo stesso scenario con la Cina, che è il vero nodo scorsoio in cui abbiamo infilato da tempo la nostra testa. Il tema chiave da comprendere è se e come le nostre economie riusciranno a reggere, sommerse da un mare di debiti come sono e ad un restringimento dello scacchiere economico mondiale perché ciò significherebbe ripensare completamente il nostro modello socioeconomico. Nessuno per ora si è fatto avanti con ipotesi, tanto meno progetti possibili, perché lo stordimento provocato dagli eventi dal tempo del Covid in avanti non è stato ancora assorbito. L’inflazione è strutturalmente in crescita, la disponibilità delle materie prime sarà il maggior problema del prossimo decennio e il potere di acquisto dei cittadini sta precipitando, riducendo consumi ed espansione economica le cui conseguenze sfoceranno prima o poi in un aumento del tasso di disoccupazione. Nessuno si rende ancora conto che il nuovo mondo non ci sarà amico, ma leggo in compenso programmi che appaiono più desideri campati in aria che piani di fattibilità concreti, facendo apparire le circostanze più un Metaverso che una vita reale.
Ritornare ai “fondamentali”
In azienda è giunto il momento di tornare ai fatti concreti e di tenere conto dei fondamentali reali, lasciando perdere ogni velleità. L’innovazione deve rispondere ad esigenze concrete, prive di ideologismi che non creano valore ma tuttalpiù lo distruggono. Si dovrà ritornare a produrre ciò che sembrava non necessario perché proveniente da paesi low cost, oggi per diversi motivi fuori gioco, e questo può rivelarsi un business molto interessate rispondente a criteri di utilità e con le ritrovate marginalità necessarie per la sostenibilità dell’azienda. Ridisegnare l’impresa è l’obiettivo principale a cui manager e imprenditori dovranno dedicare le proprie energie nei prossimi anni e come sempre ci saranno per chi è capace, opportunità di crescita e soddisfazione. Il mondo che ci aspetta quindi ha molte assonanze con l’affresco di Tiepolo: siamo spettatori di un futuro nuovo di cui non abbiamo né esperienza né traccia delle sue fattezze, ma guardando con acume e intelligenza può diventare un’opportunità per creare comune ricchezza e proseguire a preservare la civiltà occidentale, valore prezioso, unico ed insostituibile.
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