La data dell’addio al motore termico è stata decisa: entro il 2035. Lo ha comunicato il Cite, il Comitato Interministeriale per la Transizione ecologica, presieduto dal Ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, dal Ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e dal Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili Enrico Giovannini. Tra 13 anni non potranno più essere immatricolate auto con motore endotermico, che lasceranno il posto ai veicoli elettrici in linea con quanto deliberato dall’ UE. Per furgoni e veicoli commerciali leggeri lo stop ai motori termici dovrà invece avvenire cinque anni dopo, entro il 2040.
Stop al motore termico: il futuro è il motore elettrico
Il futuro è dunque elettrico o di altre forme alternative al motore a combustione, quali ad esempio l’idrogeno. L’impatto sulla filiera automotive italiana – che ha fatto della specializzazione nella motoristica e nella meccanica il suo punto di forza – appare evidente e si dovranno quindi attuare opportune misure per “guidare” la transizione. A questo proposito il Ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, come riferito da AdnKronos, ha dichiarato che “occorre mettere in campo tutte le soluzioni funzionali alla decarbonizzazione dei trasporti in una logica di neutralità tecnologica valorizzando, pertanto, non solo i veicoli elettrici ma anche le potenzialità dell’idrogeno, nonché riconoscendo, per la transizione, il ruolo imprescindibile dei biocarburanti, in cui l’Italia sta costruendo una filiera domestica all’avanguardia”.
Per i motori diesel e benzina il destino sembra tuttavia segnato, con tutte le ripercussioni che questo può avere per la filiera produttiva automotive, già pesantemente colpita dai contraccolpi della pandemia. Come rilevano i numeri presentati da ANFIA, nel 2020 la produzione di auto in Italia ha registrato un crollo del 15,1% rispetto al 2019, per un totale di 777mila volumi destinati per il 67% ai mercati esteri. Ad essere colpito più pesantemente il diesel, che dal 2016 al 2020 è passato dal 33% al 15% sul totale della produzione domestica, con un calo dei volumi del 70,8% nel quinquennio.
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