Grande successo per i webinar dello scorso 21 luglio, parte del Programma di Formazione Arval curato da 24Ore Business School e indirizzato agli Arval Premium Center e agli Arval Center. Al centro dei corsi, l’organizzazione di progetti vincenti ai tempi del Covid-19, la gestione dei clienti e la customer experience
Circa 1000 operatori collegati, contenuti mirati e approfonditi, interessanti interazioni con i relatori: i webinar promossi da Arval e curati da 24Ore Business School hanno riscosso un grande successo, offrendo strumenti di analisi e momenti di riflessione utili ai titolari delle carrozzerie e officine del Network Preferenziale Arval – Arval Premium Center e Arval Center – per prepararsi ad affrontare al meglio la ripresa autunnale dell’attività. Due i temi sui quali i webinar si sono focalizzati: “Guidare e portare a termine un progetto in un periodo complicato, complesso, caotico” e “Come i comportamenti di acquisto e consumo potrebbero cambiare dopo il Covid-19”.
“Guidare e portare a termine un progetto in un periodo complicato, complesso, caotico”
Michele Maritato, PMP e Scrum Master Professional, ha aperto i lavori proprio a partire dalla complessità e dalla grande incertezza che si respira, ma: “Le pratiche di gestione dei progetti possono aiutare le imprese a gestire l’incertezza e il cambiamento che investono tutte, piccole e grandi. Le prime hanno elevata reattività e facilità al cambiamento ma impatti minimi sulla filiera, le grandi hanno un impatto maggiore ma una certa inerzia le frena. Poi ci sono le imprese immobili, che bloccano gli altri. Come la burocrazia”.
Velocità, adattamento e sincronizzazione sono i nuovi valori immateriali delle organizzazioni: accompagnano la digitalizzazione e saranno ancora più forti nel post pandemia. Il motore del cambiamento sono le tecnologie e le telecomunicazioni. “Se la velocità è un valore – ha sottolineato Maritato – il modello di business va reinventato. La digitalizzazione aiuta tanto, permette sia di aumentare la connessione, l’engagement con i clienti, sia di esplorare nuovi settori. Essere digitali significa sfruttare tecnologie e telecomunicazioni, punto di forza delle tante aziende che stanno crescendo”.
Il cambiamento fa emergere anche grandi opportunità: chi è bravo lo sfrutta e aumenta i profitti, chi non ci riesce è perdente. Oltre alla velocità, la complessità richiede la capacità di essere in sintonia con l’ambiente, sempre più caratterizzato da persone diverse tra loro. L’orizzonte è il mondo: le politiche di chiusura sono fallimentari, la globalizzazione va accettata, imparando a interagire con culture diverse attraverso i nuovi canali di comunicazione, posta elettronica, Skype, videoconferenze.
“La diversità va sfruttata – ha spiegato – comprendendo le idee che arrivano dal mondo esterno e costruendo su queste una proposta diversa. Un modello interessante per affrontare la globalizzazione è il Lewis Model: lo studioso categorizza le culture in tre tipologie, rosse (emotive ed emozionali), azzurre (lineari e basate su informazioni e fatti), gialle (attente alle persone). L’Italia, con Spagna, Portogallo, Grecia, Malta, Cipro è molto vicina alla cultura rossa. Il cambiamento va poi reso sostenibile guardando all’impatto sulle società, al gap economico e avendo cura delle generazioni future e dell’ambiente.
Come performano le aziende che lanciano nuovi progetti? Il report dell’americano Standish Group mostra come su 100 progetti il successo arrida al 30%, con uno scostamento su costi e tempi previsti del 45%. Solo un progetto su tre va a buon fine: per avere successo bisogna essere veloci e agili. Nel 2013 Rupert Murdoch ha detto: “Viviamo in mondo diverso, non è più il grande a vincere sul piccolo ma il veloce a battere il lento”. Nel mondo digitale grandi aziende sono state messe in crisi dalle startup: l’agile, il veloce batte il lento. Alla domanda sui vantaggi avuti dall’essere agili, più di 8 aziende su 10 hanno risposto che la produttività è aumentata, molto o moltissimo. A parità di risorse si produce di più. Per quasi 8 su 10 anche la qualità è aumentata, con la soddisfazione del cliente. I costi sono diminuiti per 4 aziende su 10: il fine di essere agile non è risparmiare ma massimizzare il risultato a parità di risorse. Come ci si evolve per essere agili? Cinque le lezioni fornite da Maritano.
La prima: il mondo cambia continuamente, occorre accettarlo e tirare fuori il meglio, anche se la cultura aziendale è molto difficile da cambiare. La seconda: costruire un’organizzazione veloce. La struttura piramidale (dipendenti, middle management, top management) tipica delle imprese di grandi dimensioni e un tempo vincente è lenta e crea colli di bottiglia: per acquistare velocità la piramide va rovesciata, i team devono autorganizzarsi e il leader porsi al servizio. La direzione identifica le priorità: cosa, non come, deve essere fatto. È il team che decide come fare le cose, stima i tempi e si assume la responsabilità di controllarsi per rispettarli. Durante l’esecuzione, al team non serve controllo ma supporto: la direzione insegna al team come controllarsi da solo, è una sua responsabilità.
“Costruite i vostri team e date loro fiducia – ha insistito Maritato – Quando la pandemia ci ha obbligato allo smart working, le aziende non abituate si sono preoccupate di chi avrebbe controllato il dipendente: in realtà il 99% dice di avere lavorato di più. Chi organizza il proprio lavoro è più motivato e lo fa meglio: un controllore deresponsabilizza il dipendente. Che, al 99%, da un capo si aspetta obiettivi chiari, supporto e aiuto sui problemi che non sa risolvere da solo, fiducia”.
La terza lezione riguarda il lavoro in team: “Direzione e impiegati rappresentano un team: ognuno fa la propria parte ma ci si sostiene. Le persone devono imparare a interagire. Oltre alle competenze verticali vanno costruite le orizzontali, fino a che queste diventano verticali e tutte intercambiabili. I valori sottostanti sono impegno nel lavoro, apprendimento, interazione con gli altri, coraggio e assunzione di responsabilità, concentrazione. Si fa una cosa per volta, secondo il principio Lean di Toyota, la si finisce prima di passare alla successiva. Servono apertura mentale verso modi diversi di pensare e di fare, nuove competenze, rispetto tra i membri del team, su cui la direzione ha una grande responsabilità”.
Secondo il modello di Bruce Tuckman, la creazione di un team attraversa quattro fasi: forming (conoscersi e avviare il team), storming (primi conflitti e interazione), norming (lavorare insieme diventa la norma), performing (si lavora come una cosa sola).
La quarta lezione è sul lavorare seguendo un processo: la direzione fissa le priorità con il team, che le prende in carico e, in autonomia, decide chi fa cosa e s’incontra ogni giorno (15 minuti max) per fare il punto. Finito il lavoro, la direzione controlla e periodicamente organizza una retrospettiva: impiegati e operai si riuniscono per analizzare cosa ha funzionato e cosa no e approntare i correttivi. I lavori vanno prioritizzati secondo il concetto di valore: prima interventi che generano alto valore e costano poco, poi ad alto valore e alto costo e da ultimo a basso valore e basso costo. La direzione si assicura che le regole che ci si è dati vengono rispettate. Nelle retrospettive va colto l’umore del team: se le persone sono scontente e stressate i capi intervengono e aiutano.
La quinta e ultima lezione mostra come, man mano che le organizzazioni diventano agili, la loro velocità aumenta: “Per stimare i costi, misurate quante cose si fanno in un certo intervallo di tempo. Non usate la velocità per misurare il team, altrimenti questo non fa più i controlli e abbassa la qualità”.
“Il cliente e l’acquisto post Covid- 19”
Il secondo webinar è stato tenuto da Alberto Maestri, Marketing Transformation Senior Advisor di 24Ore Business School. Di nuovo, l’incertezza di questa fase è stata l’incipit dell’intervento: “Lo scenario immediato è indecifrabile, un grattacapo per la gestione quotidiana del cliente ma insieme interessante, curioso, affascinante per il balzo accelerato che ci ha fatto compiere”. Infatti, “Abbiamo incrociato un cosiddetto ‘cigno nero’, nella definizione del 2007 di Nassim Taleb: la metafora di quando incontriamo un evento non prevedibile ma che ci scombussola la vita, come l’attentato alle Torri Gemelle a New York. Il Covid-19 è un altro esempio, un cigno grigio scuro, in qualche modo prevedibile, visto che al Ted2015 Bill Gates aveva spiegato che il prossimo nemico dei Paesi occidentali sarebbe stato un nemico invisibile, un virus, segnalando che non saremmo stati pronti per la prossima epidemia e invitando a non concentrarsi sulle armi quanto piuttosto su sistemi sanitari, strutture ospedaliere all’avanguardia, ricerca e scienza”.
Questo cigno grigio ha cambiato molte cose, come ha notato per primo l’Osservatorio internazionale del MIT con Gideon Lichfield: “We are not going back to normal”, non torneremo alla vecchia normalità ma ci sarà un new normal. Una normalità fatta sia di diffidenza e preoccupazione sia di balzi in avanti, per esempio nel digitale che – mai entrato nel Dna degli italiani – nelle settimane di lockdown ha registrato picchi del +300% nell’e-commerce, una corsa irrefrenabile accelerata dai canali digitali, dagli acquisti su Amazon alle chiamate WhatsApp, con il 75% degli utilizzatori alla loro prima volta.
Abbiamo imparato che la vendita e l’acquisto sui canali digitali non sono poi così complicati e fastidiosi. Al contrario, bastava un click per ottenere quel che di persona non si poteva. “In Europa l’Italia era quartultima, 27ª su 31 Paesi per competenze digitali – ha sottolineato Maestri – Il digitale ci è piaciuto tanto da fare nascere nuove suggestioni come il South Working: professionisti trasferiti al Nord per lavoro che hanno potuto tornare nei luoghi d’origine e ora chiedono alle loro aziende a Roma, Milano, Torino o Bologna di continuare a lavorare da casa. Avendo dimostrato che la loro produttività è aumentata, grazie all’abbattimento dei costi di trasferta e di operatività in ufficio. Non lo chiamerei, però, smart working, quanto piuttosto remote working, lavoro da casa”.
Maestri ha quindi richiamato l’attenzione sulle parole emerse dalla pandemia: futuro, sfida/mettersi alla prova, ingaggio/coinvolgimento (mancando la presenza fisica ci si è dovuti reinventare il rapporto con il cliente), imparare lo strumento e il suo utilizzo (non si può vivere senza digitale, dobbiamo rieducarci), originalità del nuovo contesto, quindi curiosità, semplicità, pregiudizi, cultura, innovazione/novità. Come interagire con il cliente, l’azienda, lo stakeholder?
“La prima, fantastica notizia – si è risposto Maestri – è che i clienti non sono spariti, sono sul divano. Hanno preso gusto a farsi arrivare tutto a casa senza andare fuori, dove c’è un nemico invisibile. La chiamano sindrome della capanna. Quindi, la prima azione fondamentale è fare sentire al cliente la propria presenza: la parola d’ordine è esserci”. Uno studio della società di consulenza McKinsey sulla crisi del 2007-2009 ha rilevato che le aziende che hanno mostrato di esserci nel momento più critico sono risultate vincenti. “Basta un messaggio, una conference call: il cliente si ricorderà di chi ha saputo interagire con lui e lo ripagherà”.
Per introdurre il tema della digital disruption, della frattura (che è anche opportunità) indotta dalla rivoluzione digitale, Maestri ha chiesto ai partecipanti se Amazon e una carrozzeria siano in competizione tra loro. Non tanto sul business core delle officine – nella ricambistica il prezzo può diventare un elemento ma l’auto non si può riparare online – quanto nell’avere cambiato la testa dei clienti. Il colosso USA ha creato quelle che vengono definite aspettative liquide, che si verificano quando le esperienze e le attese si spostano da un settore a un altro, anche molto differenti”.
L’effetto Amazon, campione di consumer experience, è stato trasferire l’aspettativa di avere tutto e subito con un click a qualunque altro ente, organizzazione, servizio, azienda della nostra quotidianità, dal rinnovo della carta d’identità all’acquisto del biglietto del treno.
“Per riparare l’auto verranno certo da voi – ha continuato Maestri – ma avranno una testa diversa da prima. Si chiederanno: perché devo fare la fila? Perché aspettare? Perché andare in negozio a comprare qualcosa? Perché ricevere informazioni poco trasparenti? Perché telefonare per contattare qualcuno? Perché subire la scortesia di qualcuno (che pago)? Se prima il cliente non aveva scelta, ora cercherà un piano B”.
Il Covid-19 ha riportato in primo piano il ruolo di ciascuno e il digitale ha il merito di avere chiarito che siamo clienti. La sfida delle aspettative liquide, ormai ingovernabile, non farà che aumentare: 5 minuti di ritardo sono un disservizio, pretendiamo risposte alle nostre mail anche oltre l’orario di apertura. Amazon sta addirittura testando l’anticipatory shopping, per fare arrivare a casa il prodotto prima ancora che lo si ordini. Maestri ha quindi spiegato che viviamo in un’era di accelerato darwinismo digitale: l’impatto travolgente dell’evoluzione tecnologica e sociale manda in affanno chiunque non riesca a stare al passo, le organizzazioni in primis, più lente del singolo. Solo i più adatti, coloro che riescono a integrarsi meglio con l’oggi e a portarlo nella propria struttura vincono, prosperano o almeno si sostengono. “È un interessante paradosso. Il cliente vuole sempre di più: il full digital, pagare contactless, avere informazioni simmetriche, utilizzare i social, contenuti subito esplicativi… ma è sempre meno fedele, più diffidente, orientato al nuovo, pronto a lasciare per strada il brand conosciuto”.
L’ultimo tema affrontato è stato l’esperienza di consumo: se il cliente cambia, e la pandemia accelera il darwinismo digitale, come offrire una customer experience adeguata? Un articolo del 1998 la definisce come “l’insieme delle emozioni che percepiamo a viviamo quando entriamo in contatto con un’attività, un’azienda, un’organizzazione, una marca sia online che offline”.
A livello pratico, come offrire emozioni positive? “Prima di tutto con la cortesia – ha consigliato il relatore – Cioè, dobbiamo riallacciare la relazione con il cliente che vuole essere coccolato, altrimenti cambia. Poi trasparenza, il comparatore di prezzi è a un click di distanza sul telefono del cliente. Personalizzazione, la variabile spazio sarà determinante nel prossimo futuro, il cliente pretende sicurezza per uscire di casa.
Non più solo specialisti del prodotto, ma specialisti di come il prodotto viene usato dal cliente. Ancora, velocità, perché non vogliamo stare in spazi chiusi o aspettare. Amazon, Glovo, eBay, Yoox ci abitueranno sempre meglio e la digital disruption investirà anche l’automotive. Vanno utilizzati tutti gli strumenti digitali a disposizione vostra e del cliente: messaggistica istantanea, e-mail, pagamenti contactless, soluzioni saltafila o prenotazione online, consulenza online. Il paradosso è che tutta questa tecnologia ci costringe a tirare fuori tutta la nostra umanità – ha concluso Maestri – Infatti, è più difficile gestire il cliente in webcall che in presenza. Quindi è importante che diventiate voi stessi partner del cambiamento, indichiate la retta via al cliente, sia sotto il profilo tecnico, il vostro core business, sia nell’interazione digitale”.
Marco Mosaici: Insieme, per affrontare le sfide del futuro
Marco Mosaici, Direttore Network di Arval Italia, ha espresso la propria soddisfazione al termine dei due webinar appuntamenti formativi organizzati lo scorso 21 luglio nell’ambito del Programma di Formazione Arval: “Questi webinar organizzati per gli Arval Premium Center e gli Arval Center sono una delle tante iniziative a supporto del Network Preferenziale Arval realizzate in questi mesi, dall’inizio dell’emergenza Covid-19 alla Fase 2 a oggi. Sono testimonianza della nostra volontà di sostenere l’imprenditorialità delle strutture, superando la difficoltà di non poterci incontrare fisicamente, rimanendo quindi #distantimauniti. E questo è stato possibile con il ricorso alla tecnologia ed alla formazione online, scegliendo partner di grande competenza quali Assolombarda e Il Sole 24 Ore Business School; una serie di incontri che si sono dimostrati efficaci, utili e soprattutto apprezzati dai professionisti coinvolti. L’alto tasso di partecipazione e i feedback positivi ci hanno confermato di essere sulla strada giusta, sia come azienda sia come uomini impegnati a risolvere concretamente, e insieme, le sfide del futuro”.
a cura di Morena Pivetti
Condividi l'articolo
Scegli su quale Social Network vuoi condividere